mercoledì 16 novembre 2016

INTERVISTA: Micaela Chirif



10 domande per conoscere meglio i professionisti del settore










Ciao Micaela!
Ci presentiamo brevemente?

Ho studiato filosofia, ma ho sempre scritto, prima poesie (per adulti) e dopo libri per bambini. Mi interessa molto il vincolo tra testo e immagine e ho riscontrato che il formato dell’albo illustrato mi ha permesso di esplorare questa relazione, o meglio,  questa non relazione. Dico non relazione perché la parola e l’ immagine sono, in realtà, di naturalezza differente ed è impossibile farle coincidere. Qui c’è giustamente la parte interessante: inventiamo storie e spiegazioni per cercare di chiudere la breccia tra parole e immagini.



Hai detto che in un’altra vita ti piacerebbe essere un’illustratrice?

Ci spieghi perchè?

In realtà, mi piacerebbe poter essere un’illustratrice in questa vita. E’ solo perché non posso che ho deciso di esserlo nella prossima… però è solo una scusa, come quella della volpe con l’uva.
Perché mi piacerebbe illustrare? Perché quando concepisco un libro lo faccio molto spesso attraverso le immagini. Penso sempre il testo in relazione alle immagini. I miei testi sono molto brevi e, in generale, si completano con le informazioni che offre l’illustrazione e non avrebbero sentimento senza quest’ultima.
So che nella maggior parte dei casi, quando lo scrittore non è egli stesso anche l’illustratore, è la casa editrice che si incarica del processo delle illustrazioni del libro. Nel mio caso, mi piace lavorare direttamente con l’illustratore quando è possibile, o con l’illustratore e l’art director, che molto spesso manifesta una visione esterna indispensabile.  Così, le immagini escono conformi e si può procedere arricchendo la storia o, anche, si può modificare. Lavorare in questo modo rende il processo più lungo, però, allo stesso tempo, da più consistenza al risultato finale. La condizione per poter farlo è avere una struttura molto solida che può essere sostenuta senza che il libro sfugga dalla mano. E, chiaramente, è necessario che l’illustratore sia aperto al dialogo.



Biro e l’odore della carta o computer?


Le idee e i libri li scrivi sempre su carta. Penso meglio lavorando sulla carta. Dopo passo il testo al computer e lo stampo per continuare a correggere sulla carta. E’ vero che ci sono programmi che ti permettono di scrivere “a mano” sulla tavoletta grafica, ma non è lo stesso. Non si possono avere diverse pagine allo stesso tempo, cancellare o piegare la carta. Non c’è nulla come la sensazione della carta, gli schizzi, le macchie. Compro le matite a pacchi da cinquanta perché le perdo continuamente e spendo soldi in quaderni che trovo comodi.



Un ostacolo incontrato lungo la strada?

Vivo in un paese, il Perù, dove la produzione editoriale è difficile. Non ci sono molti mezzi, né molte case editrici, né molti illustratori… né molti lettori. Riassumendo, non c’è un sistema, che più o meno, funzioni. Questo fa si che gli sforzi siano molto individuali, e a volte un po’ stressanti. D’altro canto, c’è un margine di libertà molto alto per fare qualsivoglia cosa si desideri poiché non c’è un sistema né un mercato cui rispondere. Inoltre, nei limiti consentiti, ciascuno può fare molto.





Il primo lavoro?


Ho fatto molte cose prima del mio primo libro per bambini. Molti lavori diversi. Non ho iniziato la mia vita lavorativa scrivendo. Il mio primo libro per bambini si chiama “Don Antonio e l’albatros”. Lo feci in un circostanza imprevista: il mio compagno dell’epoca era un poeta che scriveva anche libri per bambini, accade che si ammalò e morì. Poco prima di morire mi aveva detto che gli sarebbe piaciuto fare una storia su un uomo che insegnava a volare ad un passero che non voleva migrare. Dopo la sua morte, per omaggiarlo, decisi di scrivere la storia, che è stata pubblicata con entrambi i nostri nomi. Da allora, mi resi conto di aver trovato qualcosa che mi piaceva fare, qualcosa che non mi era mai passato per la testa.



Un progetto a cui sei molto affezionata, ma che ancora non sei riuscita a realizzare?

Ho sempre molti progetti in cantiere. A volte perché si tratta di libri che non hanno mai preso corpo, altre perché non ho incontrato nessuno con cui farli. Più che con i progetti, credo che sogno di lavorare con un gruppo di persone in maniera costante, facendo progetti, dandogli corpo, pensarli e ripensarli un’altra volta.. La mia collezione di “Pendenti” (cose non in equilibrio, modo di dire) è piena. E continuo ad arricchirla.



Una carrellata di creativi che segui o ai quali vorresti stringere la mano?


Più che ammirare autori, ammiro libri concreti. Ammiro tantissimo “Il papero e la morte” di Wolf Erlbruch, di Chris Van Allsburg, di Jurg Schubiger e chiaramente di Sendak. Bruno Munari è fantastico. Però, chiaramente, qui parliamo di classici. I libri che recentemente mi sono piaciuti di più: “Cappuccetto Rosso” di Marjolaine Lerav, “Telefono decomposto” di Ilan Brenman e Renato Morriconi, “Se vuoi vedere una balena” (gran bella combinazione di testo e imagini) di Julie Fogliano con illustrazioni di Erin E. Stead, illustratore anche di “il buco”, “Cosa fanno le ragazze?”, “Cosa fanno i bambini?”, di Nikolaus Heidelbach, “Los demonios caca” di Fabienne Loodts, “Il buco”(gran gran lavoro) di Øyvind Torseter e moltissimo altro. Pensando chi mi ha fatto piacere conoscere, direi Wolf Erlbruch. Magari prendere un caffè con lui e conversare. Deve essere stato un uomo di un sensibilità straordinaria.



Progetti per il futuro?


E’ difficile parlare dei progetti futuri. Ce ne sono molti, però preferisco aspettare che escano per parlarne. Devo essere un po’ superstiziosa…



Domanda a piacere: non te l’abbiamo chiesto, ma avresti  tanto voluto dircelo durante quest’intervista.


Alcuni amici mi hanno detto alcune volte che possono riconoscermi nelle poesie che scrivo, che sono per adulti, però non nei miei libri per bambini. Dicono che in quelli è come se io sia un’altra persona. Forse è per questo che mi piace scrivere per bambini: la possibilità di trasformare le cose in una direzione più amabile. C’è molta crudeltà nel mondo, è la verità, e i libri per bambini non lo sono, non devono esserlo, una eccezione. Però una certa tenerezza in certe storie è indispensabile, io credo, per lottare con la parte difficile. Inoltre, nei libri per bambini, specialmente nel formato dell’albo illustrato, ci sono molte poche restrizioni. Forse è proprio perché si crede, spesse volte, che la letteratura per bambini sia un genere “minore” che ha molta libertà di creazione.



   











Grazie mille! ☺

Le SvalvoLinee


Cristina De Liso
Laura Deo
Serena Lombardo
Cristina Trapanese

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